Facciamo parlare le cifre:
Nel mondo sono più di 6 milioni all’anno le persone che sono intossicate da pesticidi, delle quali più di 700.000 hanno riportato patologie croniche.
Circa 37.000 i tumori associati ad alti livelli di esposizione ai pesticidi o a una lunga convivenza con gli stessi.
Questi dati sono emersi al convegno, tenutosi a Roma nel novembre 1997, dal titolo: “Esposizione ai pesticidi con particolare riguardo all’infanzia”, organizzato dall’Istituto italiano di medicina sociale, Ministero del lavoro.
Fra i pesticidi, sono gli insetticidi quelli più tossici, del tipo clorurato e del tipo organofosforico.
Quelli clorurati sono meno tossici, ma non sono biodegradabili, col risultato che si accumulano nell’ambiente. Invece gli insetticidi organofosforici sono più tossici ma si degradano rapidamente in natura (ma che fine fanno i prodotti degradati?). L’inquinamento ambientale e alimentare è quindi principalmente dovuto agli insetticidi clorurati, ma forse anche ai prodotti di degradazione dei pesticidi organofosforici.
In Italia il consumo di fitofarmaci è cresciuto dal 1971 al 1987 fino a triplicarsi (ed è soprattutto concentrato in Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna). Ancora in Italia (1996) si distribuivano sul terreno agricolo, in media, 2 kg di diserbanti per ettaro all’anno. (5,6kg x ettaro all’anno). Ma la media è fallace, perché in Lombardia sono 5 kg per ettaro, in Piemonte 4,5, in Veneto 3,5, in Emilia 3, in Friuli 3 ed in Trentino-Alto Adige 1,5.
In Europa (fine XX secolo) si consumavano un milione di tonnellate all’anno di pesticidi. Nonostante siano passati ormai trent’anni e più, in Italia, dall’espansione dei consumi di pesticidi in agricoltura, la ricerca stenta a darsi degli strumenti validi d’indagine. Per esempio uno studio del Ministero della sanità (Ambiente e salute in Italia, ed. Il pensiero scientifico, 1997) ha valutato l’esposizione degli italiani ai 148 fitofarmaci più usati e presenti come residui negli alimenti.
Confrontando le dosi giornaliere ammesse e quelle contenute negli alimenti, lo studio ha trovato che per nessuno dei 148 pesticidi presi in esame si è verificato un livello medio di esposizione superiore ai livelli di pericolo. Ciò è indubbiamente confortante, peccato che nell’indagine non siano stati presi in considerazione gli effetti della somma di più pesticidi nello stesso prodotto!
In un’altra ricerca (Legambiente, 1996) sono stati analizzati più di ottomila campioni di ortofrutta. Si è trovato che solo 200 avevano residui superiori a quelli massimi stabiliti per legge, ma ben il 41% dei campioni conteneva residui di pesticidi, specialmente agrumi, fragole ed uva, pur sotto i limiti di legge. Da notare infine che, fra i campioni regolari, il 20% conteneva più di un pesticida (specialmente mele e pere).
Il Ewg di Washington (Environmental working group) ha calcolato che ogni giorno un milione di bambini al di sotto dei cinque anni in Usa ingerisce una dose eccessiva di pesticidi organofosforici e ben centomila sono i bambini che ne assumono dieci volte il limite consentito (dati di fine XX secolo).
Si noti che i bambini sono più a rischio perché la quantità di aria, acqua, cibo inquinati che assumono, in relazione al loro peso, è maggiore che per gli adulti. Inoltre la proliferazione cellulare è maggiore (in quanto organismi in crescita), il sistema immunitario è immaturo e la capacità di reagire agli inquinanti è ridotta.
Nei bambini i tumori dipendono dall’inquinamento ambientale per contatto diretto, ma anche per esposizione della madre in gravidanza. Questo dato è stato trovato dallo studio Setil (Studio epidemiologico sui tumori infantili, Italia).
L’attuale legislazione italiana sui pesticidi ha fissato dei limiti senza tenere in alcun conto la variabile dell’età. Vale a dire che i limiti fissati per legge valgono solo per gli adulti, non certo per bambini o neonati.
Se poi si aggiunge che i limiti prestabiliti non tengono conto della somma dei diversi pesticidi (in alcune mele se ne sono trovati ben 11 diversi), il quadro per i bambini diventa drammatico. Per questo motivo, forse, le ditte produttrici di alimenti per l’infanzia, in Germania, sempre più optano per alimenti biologici certificati, al punto che entro breve tempo si dovrebbe assistere al capovolgimento della situazione: saranno di più i prodotti biologici per l’infanzia di quelli dell’agricoltura chimicamente trattata.
Il fatto che i pesticidi siano responsabili della sterilità umana, specie quella maschile, è ormai denunciato da molti. Solo alcuni esempi. Il DBCP, insetticida usato negli anni ottanta in California, ha reso sterili le maestranze che lavoravano nei frutteti di quella regione. Il DDT interferisce con gli ormoni sessuali umani. L’agente orange, un defogliante usato anche in Vietnam, interferisce col sistema endocrino umano.
Per finire un accenno ad un fenomeno inquietante. Non basta mettere al bando un dato pesticida, occorre anche vigilare, perché esiste un mercato clandestino dei pesticidi proibiti in Italia, ma permessi in altri Paesi; gli agricoltori poi a volte non sanno neppure di che prodotto si tratta perché le etichette non sono scritte in italiano.
Quando si fissa per legge la quantità massima di un veleno in un alimento per poterlo consumare senza pericolo, si trascura un principio scientifico importante: quello che riguarda la definizione della soglia di tossicità.
Ricerche fatte da Druckrey e Schmahl, citate da Claude Aubert in Agriculture biologique hanno portato alla seguente conclusione, che cozza contro l’opinione comune degli scienziati:
Significato: se si diminuisce la quantità di veleno giornaliero, ci si ammala più tardi, ma con una quantità complessiva molto inferiore.
Allora che significato ha lo stabilire un particolare valore minimo di veleno, cioè una soglia di tossicità? Può non aver alcun senso, perché a una dose giornaliera più bassa corrisponde una dose complessiva letale più bassa.
Per essere più chiari facciamo un esempio semplificato. Se per morire occorre un bicchiere di un dato veleno preso in una volta sola, qualora se ne beva un solo cucchiaino al giorno, non si morirà dopo aver assunto l’equivalente di un bicchiere, bensì dopo aver assunto un decimo di bicchiere.
Ciò significa che: il famoso assunto “è la dose che fa il veleno” vale soltanto per una singola assunzione; non vale per assunzioni protratte per tempi lunghi.
Applicando questo principio ai residui di pesticidi che restano negli alimenti, sorge il dubbio che anche le piccole dosi ammesse come innocue dalla legge abbiano un effetto dannoso: in tempi lunghi, ma con quantità complessive molto piccole.
Ecco perché non basta avere pochi pesticidi negli alimenti, non bisogna averli affatto!